Se dico “facciamo allenamento”, a cosa pensate? Sicuramente vi verrà in mente la routine fisica che riguarda l’incremento di forza, coordinazione ed elasticità dei muscoli maggiormente rilevanti per raggiungere l’obiettivo desiderato. In realtà il training fisico è solo una parte di un buon allenamento: una delle più importanti aree da allenare non sono i muscoli, ma il cervello.
Come può il cervello migliorare la performance? Il cervello manda segnali elettrici al sistema muscolare, che a sua volta attiva le fibre muscolari responsabili della generazione di energia. Quando un atleta si allena, la ripetizione del movimento porta ad un aumento dell’invio di questi segnali elettrici che, come conseguenza, si rafforzano e ciò porta ad un incremento del numero di fibre muscolari attivate. I risultati sono per l’atleta un maggior guadagno in forza, esplosività e destrezza. Inoltre con un migliore tempismo dell’azione del segnale elettrico l’atleta avrà una migliore coordinazione delle unità motorie, che si traduce in un miglioramento nella precisione, nel controllo motorio fine e nella coordinazione occhio-mano.
Questo rafforzamento delle connessioni cervello-muscoli durante l’allenamento è chiamato Neuropriming. Tale metodo però accresce solo temporaneamente la performance, senza quindi un mantenimento dei miglioramenti. Per avere un mantenimento a lungo termine del guadagno atletico, bisogna fare riferimento al meccanismo della plasticità.
Per plasticità cerebrale si intende la capacità dell’encefalo di modificare la propria struttura e le proprie funzionalità a seconda dell’attività dei propri neuroni, correlata ad esempio a stimoli ricevuti dall’ambiente esterno.
Quando il nostro cervello si sviluppa durante l’infanzia e l’adolescenza, i neuroni che vengono generati creano ed ottimizzano le connessioni in maniera molto rapida. La creazione di percorsi neurali permette di imparare e acquisire memorie ed automatismi. Per molti anni gli scienziati hanno creduto che il numero di connessioni neuronali possibili da creare nell’arco di vita fosse limitato, e che quindi una volta che il cervello si fosse sviluppato a pieno, anche la quantità di ricablaggio possibile fosse estremamente limitata. Fortunatamente ricerche recenti hanno smentito la cosa, affermando che anche le persone anziane possono generare nuove vie neurali ed incrementare la loro capacità di apprendimento e memoria. Dunque il nostro cervello è malleabile, modellabile, plastico (Fenomeno della Neuroplasticità).
Quindi come può la neuroplasticità essere correlata all’allenamento atletico? Ogni volta che si impara una nuova abilità (che sia tirare a canestro o calciare un rigore o effettuare uno swing) si sta utilizzando il potenziale cerebrale per la neuroplasticità: alla prima prova, le connessioni tra il cervello e lo specifico set muscolare richiesto per quell’abilità non sono ottimizzate. Più ci si allena, maggiormente la via neurale diventa robusta e rifinita, con più neuroni e fibre muscolari reclutate e coordinate nel pattern corretto. Questi cambiamenti plastici nel cervello danno la precedenza a miglioramenti fisici correlati all’abilità. Se ci si continua ad esercitare, le connessioni cervello-muscoli si manterranno nel tempo, come anche la performance, ma se si interrompono gli allenamenti a riguardo, le connessioni funzionali diventeranno meno sincronizzate, portando ad una performance peggiore.
La neuroplasticità è un fenomeno naturale che si verifica per l’acquisizione di qualsiasi abilità ed è senso comune il fatto che se si fa pratica in qualcosa si diventa più bravi. Quindi è importante non sottovalutare gli esercizi di ripetizione, anche se diventano noiosi.
Attenzione: i progressi richiedono sempre del tempo.
Staff CISSPAT
Dott. Bargnani Alessandro
Dott.ssa Franco Giada