Che la mente possa influire significativamente su ogni attività umana e, quindi, anche su quella sportiva è stato certamente chiaro fin dai primi Giochi Olimpici ateniesi. Il destino di una competizione sportiva non dipendeva esclusivamente dalla prestanza fisico-atletica ma anche dall’astuzia, dalla strategia, dal coraggio, dallo stato d’animo caratteristiche, queste ultime, strettamente legate all’attività mentale dell’atleta. Nonostante ciò solamente intorno al 1890 alcuni educatori hanno espresso le loro opinioni sugli aspetti psicologici dell’educazione fisica. Norman Triplett nel 1897 effettuò i primi studi sulla performance in situazioni di agonismo. la psicologia dello sport iniziò ad entrare nelle università, con l’istituzione di master, dottorati e corsi di specializzazione. Tra il 1970 ed il 1980 furono condotti studi sul miglioramento della performance, sulla personalità dell’atleta e sulla motivazione. Negli anni ottanta si studiarono tecniche mirate al miglioramento della prestazione. Nel 1993 fu pubblicata la prima edizione di Handbook of Research on Sport Psychology da Singer e colleghi in cui erano raccolte le ricerche più significative pubblicate fino ad allora. Dalla prima pubblicazione di questo manuale, vi sono state molte evoluzioni, segno di maturità. Negli ultimi vent’anni (1989) hanno poi preso piede gli studi di psicologia clinica dello sport grazie ai lavori di C.Ravasini-G.Lodetti (Aspetti psicoanalitici dell’attività sportiva – ed. Ghedini) La psicologia clinica dello sport si occupa degli aspetti clinici e di crescita globale della personalità dello sportivo e dell’abbattimento del disagio giovanile attraverso le dinamiche sportive di interazione. https://it.wikipedia.org/wiki/Psicologia_dello_sport
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