L’attenzione volontaria è chiamata anche concentrazione ed è la capacità di focalizzare l’attenzione su un’immagine, un’attività o un oggetto interno (pensieri, emozioni, ecc) per una determinata finestra temporale, senza essere disturbato o condizionato da stimoli esterni e interni non pertinenti.
Gli elementi fondamentali sono quindi due:
– la durata nel tempo: proprio per questioni fisiologiche la concentrazione è momentanea e periodicamente soggetta a cali;
– l’influenza di elementi disturbanti: essa è condizionata da fattori interni (sensazioni corporee, pensieri, emozioni, ecc) ed esterni (pubblico, avversari, risultato, comportamenti antisportivi, forti rumori, ecc).
Non bisogna quindi sforzarsi di mantenerla il più a lungo possibile, si andrebbe così contro le leggi della natura umana, piuttosto si deve imparare a riconoscere i segnali interni e esterni che possono innescare un calo di concentrazione, e a recuperarla in caso di crollo. Un esempio significativo di distrattori è quello che accadeva alle nazionali di sci quando gareggiavano in Svizzera, poiché non riuscivano a performare al meglio, come invece facevano nelle altre nazioni. Il motivo fu scoperto diverso tempo dopo: era il suono delle campane delle mucche che faceva deconcentrare inconsapevolmente gli sciatori (non svizzeri) durante le gare.
L’attenzione può essere comparata a un filtro sia delle informazioni che entrano dall’esterno verso l’interno (visive, sonore, ecc), sia di quelle che provengono dall’interno (sensazioni, emozioni, ansia, ecc). Questo filtro tuttavia non sempre funziona al meglio, a volte fa accedere informazioni non utili (distrattori che inficiano la performance sportiva), che attraversato il filtro dovranno poi essere processate aumentando il tempo di generazione di una risposta; infatti più informazioni il nostro cervello si trova ad elaborare e maggiore sarà il tempo necessario a processarle.
Un modello in ambito sportivo che tutt’oggi si dimostra valido è stato avanzato da R. Nideffer negli anni ’70. Prevede due dimensioni del focus attentivo:
– estensione o dimensione della quantità di stimoli presa in considerazione contemporaneamente dal soggetto e quindi inclusi nel focus;
– il tipo di stimoli su cui la nostra attenzione è rivolta ovvero la direzione: interna -> stimoli interni (pensieri, stati emotivi e sensazioni fisiche) o esterna -> stimoli esterni (stimoli ambientali).
Da queste due dimensioni Nideffer ha combinato quattro stili attentivi: esterno ampio e ristretto, interno ampio e ristretto. Gli stimoli interni ed esterni possono diventare distrattori a seconda si attui uno stile esterno o interno rispettivamente. Negli sport di situazione il numero di informazioni che un atleta deve elaborare è altissimo, e l’importante vantaggio competitivo deriva da chi è in grado di scegliere accuratamente solo quelle utili e di scartare i distrattori.
Ognuno di noi non si concentra alla stessa maniera poiché possiede uno stile attentivo dominante, ossia una modalità più naturale ed abituale di spostare la propria attenzione. Di fatto, comunque, ognuno adatta lo stile all’attività o alla situazione in cui si trova, ma lo stile predominante prevale e può non essere quello ottimale rispetto allo sport praticato. Avere uno stile attentivo dominante non significa non poter cambiare stile. Tuttavia, questo passaggio non è automatico ed è necessario un “allenamento attentivo” al fine di orientare e mantenere l’attenzione sugli elementi critici dello sport, escludendo distrattori che possono essere stimoli esterni o interni (Schmid, Paper, 1986). Per poterlo strutturare e realizzare, si può richiedere una consulenza ad uno psicologo dello sport.
Molti degli esercizi si servono della tecnica dell’immaginazione, poiché l’immaginazione è uno strumento indispensabile per lo sviluppo delle abilità attentive. In questo modo gli atleti migliorano la loro abilità di rivolgere e mantenere la loro attenzione ai target o attività scelte dalla loro mente. L’immaginazione è utile specialmente a rievocare la situazione di gara, per individuare gli stimoli su cui fare attenzione e per allenarsi a spostare la direzione e l’ampiezza appena la situazione di gioco viene a modificarsi.
L’obiettivo di un atleta non diventa tanto quello, quindi, di imparare a concentrarsi, ma deve essere quello di saper adoperare e intercambiare gli stili attentivi richiesti dalla disciplina sportiva praticata.
Un atleta deve pertanto essere in grado di sapere:
- dove prestare attenzione (quali stimoli interni ed esterni selezionare, quali scartare, quali evitare di prendere in considerazione);
- quando essere attenti (per alternare momenti di concentrazione a momenti di disattenzione proprio perché è fisiologicamente impossibile riuscire a mantenere lo stesso grado di concentrazione per un lungo periodo);
- come mantenersi concentrati nei momenti critici durante i quali solitamente la risposta psico-emotiva induce l’atleta a dirigere la sua attenzione ad elementi distraenti piuttosto che a fattori che implementano la prestazione sportiva.
Quando l’atleta impara a indirizzare l’attenzione soltanto verso gli stimoli che interessano il suo campo di azione in un preciso momento della partita, vuol dire che ha imparato a utilizzare in modo completo e al momento opportuno le sue più affinate capacità fisiche, cognitive e tecniche, e quindi a eseguire una prestazione di alto livello.
A cura di Luca Muhlbauer
PSICOLOGI DELLO SPORT
CEO DOTT. ALESSANDRO BARGNANI
Fonti:
http://www.npgfootballacademy.it/2017/10/16/attenzione-concentrazione-psicologia-dello-sport/
https://corporesanofitness.com/2018/06/21/gli-stili-attentivi-nello-sport/
References:
- Kremer, J. M. D., Moran, A. P, Walker, G., & Craig, C. (2012). Key concepts in sport psychology. London: Sage.
- Moran, A. P. (1996). The psychology of concentration in sport performers: A cognitive analysis. Hove, East Sussex, UK: Psychology Press.
- Moran, A. P. (2012). Concentration: Attention and performance. In S. M. Murphy (Ed.), The Oxford handbook of sport and performance psychology(pp. 117–130). New York: Oxford University Press.
- Moran, A. P. (2012). Sport and exercise psychology: A critical introduction (2nd ed.). London: Routledge.
Wegner, D. M. (2009). How to think, say, or do precisely the worst thing for any occasion. Science, 325, 48–51.